Mi trovavo seduta in sala a Identità Golose, aspettavo l’intervento successivo e mi guardavo intorno. Era subito dopo pranzo e le persone avevano un’aria assonnata forse a causa della stanchezza indotta dal pasto appena consumato, soprattutto quando ci si trova nel regno del tributo al cibo. Buio in sala. Luce. Arrivo del giovane Enrico Croatti, chef del Dolomieu di Madonna di Campiglio. Ho colto subito la sua energia, la sua passione e la voglia di condividerla con il pubblico. Ha presentato il suo intervento a cui aveva dato un nome sfidante “A mani nude verso l’infinito”. La presentatrice gli ha chiesto il perché di questo titolo e lui ha spiegato che le mani nude servono per sentire gli ingredienti, per entrare in contatto con la materia prima e coglierne il senso; l’infinito per lui è rappresentato dalla rottura di ogni schema, da quella follia necessaria per superare i limiti. Durante l’esibizione Croatti ha mostrato il significato della sua follia lavorando sulla pasta. Ha preso dei paccheri, li ha cotti, trattandoli come una semplice pasta secca, li ha tagliati a metà e li ha tirati come se fossero una pasta fresca, proprio come facevano le nonne con la sfoglia fatta a mano. Da qui ha formato dei piccoli cannelloni ripieni. Gli serviva della farina e così ha deciso di frammentare la pasta secca a crudo, rendendola polvere, per poi tostarla in forno e trasformarla in farina per tirare i suoi cannelloni.
Più tardi, passeggiavo nel corridoio durante una pausa caffè e ripensavo al significato di follia, a quello che avevo visto in sala e a come sia possibile superare gli schemi mentali che inevitabilmente abbiamo. Lì ho incontrato Enrico Croatti e ho voluto approfondire il tema, così è nata questa conversazione.