Emma L.

Ho visto un divano color salvia, ha una forma accogliente, è simile a quello su cui ci sedemmo in quel caffè francese. Come si chiamava? Era nel quartiere degli artisti, in una via stretta di Parigi. Ricordo che sfioravo il velluto con la mano mentre mio marito mi accarezzava il volto. Eravamo sposati da poco e Luca stava per arrivare, scoprii di essere incinta un paio di giorni dopo il nostro ritorno a casa. Sono passati quasi trent’anni ma quel colore è ancora appiccicato nella testa; l’avrei voluto per il nostro soggiorno ma a lui non piaceva, preferiva il grigio. Forse era più in linea con i giorni che ci attendevano.
“Milvia cosa ne pensi di un divano color salvia per l’ingresso?” Gliel’ho chiesto ieri sera mentre prendevamo un aperitivo insieme a Viola.
“Originale.” Ha risposto lei.
È il suo modo per dire che ne dobbiamo parlare. Lo faceva anche durante le riunioni dei docenti, esaminavamo il caso di un ragazzo che andava bene nella mia materia ma che arrivava appena alla sufficienza nella sua; Milvia sosteneva che il tipo di rendimento dello studente fosse originale.
“Cosa c’è di originale nell’andare bene in matematica e nell’essere mediocre in latino?” Le chiedevo io.
“Non si spiega, perché hanno lo stesso meccanismo di razionalità.” Diceva lei.
“Forse è una questione di gusti, non credi che possa preferire la matematica?” Continuavo.
“Originale.” Diceva lei.
Le voglio bene. Conosco Milvia da quindici anni, ricordo ancora il primo giorno a scuola quando entrai nella sala professori e la vidi con gli occhi sul registro intenta a scrivere il programma della lezione.
“Buongiorno, mi chiamo Emma L.” Le dissi porgendole la mano.
“Molto lieta.” Mi rispose invitandomi ad accomodarmi vicino a lei.
Mi fece un quadro chiaro dei ragazzi, mi descrisse tutti i nostri colleghi e mi invitò a cena da lei.
“Se suo marito non si offende.” Precisò.
“Vivo sola.” Dissi io.
Ricordo ancora i suoi pomodori gratinati. Le chiesi la ricetta ma dopo quindici anni di frequentazione devo ammettere che quelli di Milvia sono i migliori; Rosa è d’accordo, lei non cucina ed è un giudice imparziale.
Me la presentò Milvia qualche settimana dopo quella cena.
“Ti può essere utile, facci due chiacchere e poi decidi.” Mi disse.
Andai a trovarla in studio, le raccontai di quando Luca si ammalò. Le confidai che io non fui in grado di fare niente; aspettai, ascoltai i medici ma tutto fu così veloce. Nel giro di tre mesi persi mio figlio e il mio matrimonio andò a rotoli.
“Ha avuto il coraggio di reagire.” Mi disse Rosa.
Io credevo che fosse una fuga ma lei mi fece capire che era stato il mio modo per ricominciare. Avevo chiesto il trasferimento, avevo abbandonato la casa e tutti quelli che conoscevo per partire da zero, a Milano. Trovai un appartamento in zona, mi avevano detto che Porta Venezia era un luogo tranquillo e mi accontentai di un monolocale ammobiliato in via Kramer. Poi cambiai, trovai il bilocale di via Lambro, anche quello ammobiliato, ci vivo da dieci anni e forse è ora di cambiare. Sono mesi che guardo i cartelli appesi ai portoni della zona, non ci avevo mai fatto caso. Ho voglia di scegliere dei mobili nuovi, di avere finestre più ampie, di sentire altre voci intorno a me.
Credo che accetterò, però vorrei in cambio il divano color salvia. Domani chiamerò Milvia.