Elena Manzoni di Chiosca

Ricordavo il suo sorriso. Sottile, elegante e al tempo stesso radioso; il rossetto scelto tra le gamme del rosa e l’espressione che si sposa alla luminosità degli occhi. Ha sempre amato gli orecchini, credo che ne abbia di diverse fogge e colori: gialli, rossi, e verdi come quelli che indossa oggi.
“È il colore di Pippa.” Me lo dice mentre si tocca i lobi.
“Mia figlia mi dà un bel da fare sai?” Aggiunge spiegandomi che poi mi avrebbe dato i dettagli.
Elena è un fiume in piena, lo capii la prima volta che la incontrai. Restai attratta dall’energia di questa donna, dal suo moto creativo e dalla sua capacità di portare sempre l’attenzione sul lato positivo della faccenda, qualunque essa sia.
“Partiamo dall’inizio.” Le dico mentre ci accomodiamo sul divano. Siamo una di fronte all’altra e ascolto i suoi pensieri che giungono da direzioni sparse ma con un ordine che ho capito solo alla fine.

Elena Manzoni di Chiosca è nata a Brescia. La famiglia venne sfollata a Soncino, nel cremasco, durante la guerra; fu lì che nacque il fratello Piero. Negli anni successivi si trasferirono a Milano e nel tempo Elena decise di ristrutturare una dimora vicino al comune di Gavardo; mi parla con gioia della sua grande casa nella quale lei ama rifugiarsi appena trova il tempo.
“Vorrei andarci più spesso, mi piace la vita in campagna ma ho troppo da fare qui a Milano. Te l’ho detto del cammino?”
Elena mi racconta che nel 1987 decise di partire con le bambine per il cammino di Santiago. Le sue cinque figlie erano piccole, la maggiore aveva tredici anni e la minore non arrivava ancora agli otto, ma accolsero con entusiasmo l’avventura.
“Poi uscì la guida e tutto il resto, oggi sono priore.”
“Che cosa significa?” Non conosco il funzionamento delle disposizioni ed Elena mi illustra che cosa succede. Mi racconta che esiste la Confraternita di San Jacopo di Compostella che in Italia rilascia le credenziali al pellegrino che desidera intraprendere il cammino. Lei è stata nominata priore per la Lombardia e organizza un paio di incontri al mese, uno a Milano e uno a Brescia, per celebrare la cerimonia di consegna delle credenziali ai pellegrini. Lo racconta con entusiasmo intervallando con episodi del suo viaggio, delle notti in cui dormì sotto le stelle stringendo le bambine a sé, dei giorni in cui la strada sembrava più lunga e si dovevano fermare, della volta in cui si ruppero i sandali e decisero di accomodarli con una corda.
Elena racconta con piacere delle avventure con le sue ragazze.
“Avevamo un pulmino che si chiamava Arlecchino:” Era un vecchio furgone che avevano attrezzato come un camper e, perché fosse più divertente, lo avevano dipinto di sei diversi colori. Elena aveva deciso di fare l’esperienza del viaggio, perlustrò l’Italia e l’Europa insieme alle figlie che crescevano e avevano così l’opportunità di scoprire cose nuove.
“Erano stimoli.” Mi dice.
“Poi ho capito che cosa significa. Me ne sono resa conto quando ho insegnato.” Mi racconta della sua esperienza di docente di creatività.
“Era un lavoretto che mi avevano trovato gli amici, per darmi una mano perché allora non giravano tanti soldi.” Lo dice ridendo e aggiunge che in quell’occasione capì l’importanza dell’educazione creativa.
“È quello che ti salva.” Sottolinea Elena.
Le chiedo che cosa intenda e mi spiega che è l’insegnamento a cavarsela in ogni situazione. Un modo per trovare la strada giusta, l’alternativa, ciò che ci può aiutare nei momenti di difficoltà.
“Una specie di corso di sopravvivenza?” Le chiedo io.
“Di più. È la capacità di vedere il lato positivo. Pensa che un giorno le ragazze mi videro abbattuta, c’erano le bollette da pagare, la caldaia si era rotta e non avevo un soldo per fare la spesa. Ricordo che le abbracciai e dissi loro che non sapevo come fare e che forse mi avrebbero messa in prigione a causa dei debiti. Pippa sorrise e disse che in fondo anche quella sarebbe stata un’esperienza da provare.”
Comprendo che per Elena la creatività è un mondo in cui si esce dal materialismo e si intraprende il cammino verso la ricerca di una sostanza differente, di una vitamina che alimenti anche lo spirito. Probabilmente fu questo il suo intento durante il cammino di Santiago e forse quel desiderio lo trasmette anche oggi ai pellegrini durante la cerimonia.
Parliamo ancora di creatività, le chiedo di suo fratello e di Pippa.
“Per Piero abbiamo fatto un grande lavoro. È stato necessario per combattere i falsi.” Mi racconta delle battaglie che ha condotto insieme ai famigliari per salvaguardare le opere di Piero Manzoni e per contrastare i falsari che hanno approfittato della mancanza di un archivio certificato.
“Adesso che il lavoro per Piero è quasi terminato, abbiamo iniziato a lavorare per Pippa.” Mi racconta delle opere di Pippa Bacca, mi fa fare un giro per la casa e mi presenta alcuni quadri in cui sono conservati gli animali ritagliati sulle banconote.
“Vedi lo scorpione? Era sul biglietto delle centomila lire. Un’esortazione a fare attenzione, a non farsi schiacciare dal denaro che può essere velenoso.”
Elena continua raccontandomi alcune delle attività che segue per Pippa.
“Stanno preparando un documentario su di lei, ho seguito la produzione e il lavoro è ben fatto. Insieme a Rosalia (ndr. La figlia maggiore che si occupa della Fondazione Manzoni) stiamo iniziando a catalogare le opere di Pippa e vogliamo lavorare al progetto di una mostra. Vedi quanto mi dà da fare questa ragazza?”
Restiamo ancora un po’ su Pippa, colgo l’occasione per comprendere meglio l’artista che avevo avuto modo di conoscere solo a seguito della vicenda drammatica che concluse la sua performance “Spose in viaggio.”
“Il messaggio di Pippa rimane.” Mi dice Elena.
“È un messaggio ancora più vero oggi. Pippa voleva la pace, ha fatto tutto per dare un messaggio di pace perché lei sosteneva che siamo tutti costruttori di pace, ognuno per sé, lavorando da dentro.”

Saluto Elena e le prometto che parteciperò prima o poi alla cerimonia delle credenziali. Torno a casa e ripenso al suo sorriso, vorrei che qualcuno lo dipingesse, sono sicura che potrebbe aiutare gli spettatori a trovare il lato positivo.