Mi trovavo seduta in sala a Identità Golose, aspettavo l’intervento successivo e mi guardavo intorno. Era subito dopo pranzo e le persone avevano un’aria assonnata forse a causa della stanchezza indotta dal pasto appena consumato, soprattutto quando ci si trova nel regno del tributo al cibo. Buio in sala. Luce. Arrivo del giovane Enrico Croatti, chef del Dolomieu di Madonna di Campiglio. Ho colto subito la sua energia, la sua passione e la voglia di condividerla con il pubblico. Ha presentato il suo intervento a cui aveva dato un nome sfidante “A mani nude verso l’infinito”. La presentatrice gli ha chiesto il perché di questo titolo e lui ha spiegato che le mani nude servono per sentire gli ingredienti, per entrare in contatto con la materia prima e coglierne il senso; l’infinito per lui è rappresentato dalla rottura di ogni schema, da quella follia necessaria per superare i limiti. Durante l’esibizione Croatti ha mostrato il significato della sua follia lavorando sulla pasta. Ha preso dei paccheri, li ha cotti, trattandoli come una semplice pasta secca, li ha tagliati a metà e li ha tirati come se fossero una pasta fresca, proprio come facevano le nonne con la sfoglia fatta a mano. Da qui ha formato dei piccoli cannelloni ripieni. Gli serviva della farina e così ha deciso di frammentare la pasta secca a crudo, rendendola polvere, per poi tostarla in forno e trasformarla in farina per tirare i suoi cannelloni.
Più tardi, passeggiavo nel corridoio durante una pausa caffè e ripensavo al significato di follia, a quello che avevo visto in sala e a come sia possibile superare gli schemi mentali che inevitabilmente abbiamo. Lì ho incontrato Enrico Croatti e ho voluto approfondire il tema, così è nata questa conversazione.
Ratatuia Metropolitana. Complimenti per il suo intervento, l’ho trovato ricco di stimoli non solo culinari. Mi è piaciuta molto la sua idea ma immagino che ci sia una preparazione molto faticosa dietro al suo lavoro.
Enrico Croatti. La ringrazio. Mi piace il mio lavoro, ci metto passione e non sento la fatica. C’è uno studio, è normale, anzi è necessario quando si vuole emozionare.
RM. Che cosa intende con “emozionare”?
EC. L’emozione è tutto. La cucina parte dalla testa. Quando si mangia si parte da qui (con le mani si tocca le tempie) e il mio lavoro è quello di fare in modo che scatti qualcosa nella testa del mio commensale. Io voglio che si emozioni e che dalla testa passi qualcosa più giù, non nella pancia ma nel cuore.
RM. E la follia di cui parlava?
EC. Quella ce la metto io. La uso nella mia ricerca. Ogni ingrediente necessita di una preparazione, alcuni richiedono anche settimane. Per costruire l’insieme di erbe aromatiche con cui servire un piatto ci posso impiegare mesi di ricerca. Assaggi, trattamenti, e poi ancora prove, sperimentazioni. A volte scopro che la strada non era quella giusta, ritorno indietro e ricomincio. Oppure infrango le regole, come ho fatto con la pasta. Chi l’ha detto che la pasta secca va servita così com’è quando la scoliamo dall’acqua di cottura ?
RM. Quindi per emozionare ci vuole follia?
EC. Ci vuole anche la follia. Serve passione e amore per quello che si fa e una spinta sull’acceleratore, questo me l’ha insegnato Gino Angelini che considero un maestro. Bisogna avere il coraggio di andare oltre, non fermarsi; proprio come farebbe un grande scalatore determinato a salire su quella vetta.
Saluto Enrico Croatti e lo ringrazio per il suo spunto. Più tardi, tornando a casa, ho pensato ancora all’emozione. Quando cucino qualcosa che mi piace molto o che ha dietro una piccola sperimentazione sono felice e quando gli ospiti provano il piatto sono felici. L’emozione si può trasmettere, resta nei gesti e negli ingredienti che si caricano di quello che abbiamo dentro mentre li lavoriamo. La mia nonna mi diceva sempre che bisogna metterci amore quando si cucina perché se non c’è amore si sente ed è come se mancasse un ingrediente. Forse alludeva a questo. Ci ripenso e mi rendo conto che capita la stessa cosa nella nostra quotidianità. Il risultato di quello che facciamo è carico del sentimento che ci mettiamo. Quando una cosa riesce bene è merito della passione, della dedizione, dell’amore e del buon sentimento che ci abbiamo messo. Ho provato a fare un esercizio: ho esaminato gli episodi che mi hanno dato soddisfazione e il risultato è stato proprio questo. È un esercizio che consiglio, è ricco di scoperte. Tengo caro anche lo spunto sulla follia, su questo c’è da lavorare molto, ha a che fare con il coraggio che è un ingrediente non proprio facile da trovare.