“Sono stati anni difficili.” Lo disse Bianca mentre faceva vedere all’uomo qualche immagine.
“Mia madre amava fotografare, mi portava con sé. Io stavo in disparte, tenevo la borsa e mi guardavo intorno.” Continuò mentre l’uomo, che si chiamava D., le chiedeva di quel periodo.
“A Luanda si sparava. Mia madre era nel corpo diplomatico, vivevamo in ambasciata e stavamo bene, ma fuori c’era il caos.”
D. aveva conosciuto Bianca in occasione di una personale. Anche lei lavorava con le immagini, le piaceva raccontare, un po’ come faceva sua madre. D. voleva ascoltare.
“Avevo sei anni.” Rispose Bianca quando D. le chiese a che età fosse andata a Luanda.
“Mia madre era un’interprete, conosceva il portoghese perché era vissuta a Lisbona. Amava l’Italia, aveva studiato l’italiano e parlava bene anche l’inglese. Mi ha insegnato lei. “
“E tu di che nazionalità sei?” Chiese D.
“Del mondo.” Rispose Bianca.
“Dove sei nata?”
“A Roma, mia madre lavorava alla Farnesina. Poi c’è stata l’Angola, dopo il Brasile. Mia madre si era innamorata di San Paolo. Il college l’ho fatto a San Diego, ci sono stata per tanto negli Stati Uniti. Poi ho deciso di tornare qui.”
“A tempo indeterminato?” Chiese D.
“Fino a quando avrò tempera per alimentare le mie tele.” Rispose Bianca.
D. pensava all’Africa. Non ci era mai stato; immaginava distese verdi, vegetazione rigogliosa, grandi spazi e tramonti meravigliosi.
Bianca raccontava dei tramonti, di quelli di San Diego. Gli diceva che era là che aveva affinato la tecnica, quella luce le piaceva ed era riuscita a trovare la miscela giusta di colori per poterla catturare.
“Parlami di Luanda.” Disse D. mentre pensava al suono di questo nome simile a landa, come se fosse una vasta pianura. O ancora come land che in inglese può diventare sbarcare oppure vasto terreno, suolo, proprietà.
“Come sono le persone? Che cosa si mangia? Dove si va quando si esce?”
“Ricordo solo la miseria. C’era la guerra civile e si faceva la fila per tutto: farina, zucchero, latte. Bambini in coda attaccati alla mano della madre. Sirene, tutti a terra.”
“Per quanto ci sei stata?” Chiese D.
“Un paio d’anni. Poi mia madre decise di andarsene. Si dimise, perse tutto ma fu felice.”
“Tornaste a Roma?”
“Mia madre trovò lavoro in una piccola casa editrice. Feci la quarta e la quinta elementare in quella città. C’era un bambino biondo con i boccoli che mi piaceva, ricordo il suo volto ma non so più il suo nome.”
D. ricordò quella bambina con le trecce brune e le lentiggini che sedeva al primo banco nella sua classe, Si chiamava Francesca. Lui l’aspettava all’uscita della scuola e la seguiva fino a casa. Non diceva niente; non lo faceva per parlare, voleva solo essere sicuro che lei arrivasse sana e salva. Lui se ne stava tre metri dietro e si guardava intorno.
L’aveva persa di vista. Forse si era trasferita, aveva smesso di vederla alle medie. Non ci aveva più pensato. Avrebbe potuto chiedere a qualche amico, si riprometteva di farlo.
“Da Roma a San Paolo?” Chiese D. a Bianca.
“Mia madre aveva incontrato un uomo di San Paolo. Manuel, una persona gentile. Si parte, mi aveva detto una mattina mentre facevamo colazione.”
“Valigia e via.” Commentò D. mentre pensava che non era così semplice gestire tutta questa mobilità.
“Partimmo nel giro di una settimana, mia madre era così. Decisione e azione. E non avevamo neanche il permesso di soggiorno, siamo state clandestine per quasi cinque anni. Manuel, che avrebbe dovuto sposare mia madre, sparì dopo due mesi.”
“Clandestine?” Chiese D.
“A volte penso che l’amore di mia madre per il Brasile fosse così grande da creare una rete di protezione per quegli anni. Ci andò bene, poi arrivò una sanatoria e potemmo diventare regolari.”
“Cittadina del mondo.” Disse D. mentre chiedeva a Bianca se voleva un’altra tazza di caffè.
Questa storia è frutto della fantasia; ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
Ringrazio Marta per la collaborazione e Davide Bordogna per le sue bellissime fotografie. Grazie anche a Dandy Elegance per avere creduto in questa idea. Volete sapere com’è nata? >> Vai.