Il ragù della bassa

Quando preparo il ragù, quello con la ricetta originale che mi ha lasciato mia nonna, penso a lei e ricordo un pezzo della mia infanzia.

Gli ingredienti segreti me li hai confessati tardi, verso la fine, quando avevi capito che era giusto passare il testimone.
Ricordo che andavo nella dispensa di nascosto, sapevo che avevi depositato là il pentolone, mi portavo un pezzo di pane, aprivo il coperchio e intingevo la mollica fino a quando non si riempiva di sugo e di pezzetti di carne. Stavo al buio per non farmi scoprire ma regolarmente mi cadeva una goccia sulla maglietta e quando tornavo in soggiorno te ne accorgevi.
“Hai assaggiato il ragù?” Mi dicevi.
Facevo l’indifferente ma poi mi facevi segno di guardare giù sullo stomaco e vedevo le gocce arancioni di olio e pomodoro.
“Nonna, mi sono macchiata.” Ti dicevo.
“Vai a cambiarti e la prossima volta accendi la luce.”
In casa il ragù c’era sempre, lo preparavi ogni settimana e si mangiava quasi ogni giorno. Credo che fosse per la questione della guerra. Il nonno non sopportava di mangiare la pasta al pomodoro, diceva che era cibo per poveri, noi la carne la potevamo comprare, per questo ti chiedeva di fare il ragù. Lui amava le tagliatelle, tu invece preferivi i maccheroni, per non litigare chiedevi a me ma io stavo con il nonno. Lo avrei mangiato anche senza la pasta, mi sarei accontentata di un po’ di pane da accompagnare a una scodella di ragù servito a temperatura ambiente. Ne preparavi grandi quantità, riempivi dei contenitori che avvolgevi con un nastro rosso e li donavi a chi ti veniva a trovare.
La figlia del fruttivendolo non ne poteva fare a meno. Ti aveva chiesto la ricetta ma tu non le avevi svelato tutti gli ingredienti e ogni volta ti chiedeva che cosa facesse di sbagliato. Arrivava a casa per portarti pesche e melone appena raccolti, tu la facevi accomodare, le preparavi il caffè e immancabilmente lei tornava sull’argomento.
“L’ho fatto settimana scorsa ma non è come il tuo.” Diceva. “Mio marito ha lasciato la pasta nel piatto.”
“L’hai fatto cuocere per almeno tre ore a fuoco lento?” Suggerivi tu. Lei annuiva e ripassava il procedimento insieme a te.
“Stasera non so che cosa preparargli, tornerà stanco e vorrei fare qualcosa di buono.” Diceva lei.
Io ascoltavo, non immaginavo che fosse difficile, vedevo quello che facevi tu e quanto sembrassi a tuo agio mentre cucinavi.
Guardavo lei, era magra, aveva i capelli castani raccolti sulla nuca con una coda, gli occhi scuri e tristi. Chissà se era felice, chissà se aveva sposato quell’uomo perché lo amava o perché glielo aveva detto suo padre.
“Gli piacciono i dolci ma io non sono capace.” Continuava lei.
“Ti ho spiegato come si prepara la crostata? Ci vuole un attimo.”
“Non mi viene come la tua.”

Una di quelle volte, mentre le spiegavi la ricetta della peperonata e io facevo finta di giocare in un angolo, lei era scoppiata a piangere.
“Lui dice che non sono capace.” Ripeteva lei.
“Sei andata dal dottore?”
“No.”
“Prova ad andarci, c’è quello bravo, come si chiama?”.
“E se poi dice che ha ragione lui?”
“Non credo. Siete all’inizio, ci vuole un po’ di tempo.” L’avevi tranquillizzata.
“Siamo sposati da più di un anno, i figli dovrebbero essere già arrivati.”
“Non è sempre così. Lui ti cerca?” Le avevi chiesto.
“Torna tardi e dice che è stanco. Se trova qualcosa che non gli piace per cena inizia a urlare, l’altra sera hanno sentito anche i vicini, che vergogna!”
Ti eri alzata per andare verso la dispensa, lei aspettava sicura che le avresti portato qualcosa di buono, tornasti con un barattolo di ragù e una fetta di crostata. Le avevi preparato un sacchetto e lei ti ha aveva abbracciata prima di andarsene.
“Vedrai che stasera lo farai contento.” Le avevi detto.
Maria Luisa, così si chiamava, tornò a trovarti dopo pochi mesi.
“Ti ho portato la zucca per fare i tortelli.” Ti aveva detto.
Tu l’avevi fatta accomodare ma lei non riusciva a stare seduta, ricordo che camminava avanti e indietro nel tinello.
“Ti senti bene?” Le avevi chiesto.
“Sono incinta! Merito del tuo ragù sai?”
Sembrava che fosse successo proprio la sera in cui aveva preparato la pasta con il ragù fatto da te.
Da quel momento ho sempre immaginato che ci fosse una correlazione fra il tuo ragù e la nascita dei bambini.

Maria Luisa non aveva smesso di venire a trovarti. Passava a portarti la frutta anche dopo avere avuto tre figli, anche quando non cucinavi più il ragù. Ti chiamava dalla siepe per farti un saluto e per sapere come stavi. Mi chiedo se avessi deciso di confidare anche a lei l’ingrediente segreto.