“Sapevo che dovevo farlo, se no non avrei più potuto fare altro.”
Giuliana Cunéaz ha pronunciato queste parole durante la nostra prima conversazione telefonica, quella in cui l’ho raggiunta per chiederle di concedermi un’intervista. Ho annotato con foga quella frase e, mentre scrivevo sul taccuino, registravo nella mente il vigore della sua volontà.
Mi ha colpita l’onesta convinzione di una voce ferma che, con poche parole, mi rendeva partecipe del mondo contenuto nella sua opera.
Mi riferisco a I Cercatori di Luce, l’opera immersiva che avevo visto qualche giorno prima e che mi aveva spinta a contattare Giuliana.
Di fronte a una tazza di tè, come due amiche che si conoscono da anni, abbiamo chiacchierato di arte, del processo creativo, dei progetti passati e di quelli futuri. Mi ha confessato di avere iniziato presto a disegnare, aveva poco più di dieci anni e, mentre parlava, immaginavo una bambina delicata, con la treccia bionda e gli occhi grandi, che, su un foglio bianco, dava forma ai suoi pensieri. Diede ascolto a ciò che aveva dentro e intraprese la sua formazione artistica presso l’Istituto d’Arte di Aosta, la sua città di origine, per continuare all’Accademia di Torino dove cominciò a sperimentare.
Mentre continuava il suo racconto, Giuliana ha guardato verso l’alto e mi ha parlato di Ettore e Andromaca (1923, Giorgio De Chirico), mi ha detto che le piace molto quel dipinto e lo ritiene fondamentale per il suo percorso artistico. Io ho ritrovato l’immagine della mostra di fine 2019, a Palazzo Reale, dove rimasi incantata di fronte a tanta bellezza. È questo che può fare un artista?
“L’artista sa di essere un tramite, a volte ha paura. Anche della follia.” Me lo ha detto con responsabilità e, mentre mi raccontava la sua giornata riempita dal lavoro, ma intervallata da piccole pause, o da uno scambio di sguardi con la sua gatta, ha confessato la solitudine della sua professione.
La realizzazione dei suoi progetti richiede il coinvolgimento di tanti collaboratori, spesso sono attori, musicisti, costumisti ma è lei il tramite. Il suo è un isolamento necessario, che ho inteso come ritiro intimo, in un luogo in cui possa trovare l’ordine propedeutico a dare una forma intellegibile alle idee.
Sono tornata a parlare della sua opera, l’emozione che mi ha provocato è ancora accesa e, seppure sia difficile da descrivere, ho tentato di nominare ciò che ho percepito. Mi sono trovata dentro, mi sono sentita parte de I Cercatori di Luce, inclusa, componente del gruppo di coloro che, come sostiene Giuliana, non si consegnano alle tenebre.
“È la mia Cappella Sistina.” Giuliana me lo ha detto sorridendo, con la gentilezza di chi non ha avuto paura di risparmiarsi perché ha creduto che fosse l’unica strada possibile.
Ho compreso solo in quel momento il significato di opera immersiva e ho apprezzato il valore della dedica da parte dell’artista che aveva voluto, e dovuto, dare vita a un artefatto che attivasse l’attenzione delle persone verso la bellezza della luce. Gente che s’incontra su un cammino luminoso, costellato di speranza, attraverso il quale si matura la consapevolezza che esiste sempre una luce, anche nell’oscurità più buia.
Saluto Giuliana e la ringrazio per avere condiviso con me una parte del suo mondo. Se qualcuno la dipingesse dovrebbe scegliere dei colori pastello: un verde delicato, un azzurro tenue, il lilla ma non potrebbe mancare il giallo acceso della luce. Porto con me il suo sorriso gentile, mi ricorderà che il coraggio e la forza si manifestano nella pace.
L’opera I Cercatori di Luce è fruibile al MEET | Digital Culture Center dal 2 marzo al 2 aprile 2022.
Orari: dal martedì alla domenica dalle ore 15.00 alle ore 19.00