Buon compleanno

Buon_Compleanno_Ratatuia

Mi era noto il periodo, ricordo bene come mi sentivo mentre navigavo per mettere insieme i pezzi che galleggiavano nella mia mente. Erano giorni calmi. Era l’intermezzo popolato da una vacanza inaspettata, di quelle che nascono solo se il calendario è favorevole, nell’intervallo tra il venticinque aprile e il primo maggio.
Da anni, quando trascorro il periodo che da allora ti appartiene, penso alla tua nascita. Rammento i primi passi, le prime parole messe insieme con timore, le fotografie. Ma quest’anno è diverso, è un anno importante perché, mia cara Ratatuia, guardando nell’archivio dei tuoi contenuti, vedo che la data del primo articolo è il primo maggio di dieci anni fa.
Non avevo scelto con consapevolezza di farti nascere nella data dedicata alla celebrazione del lavoro. Il fatto fu dettato dalle circostanze, da tempi tecnici e da numerose tecnicalità, ma oggi sono felice che il caso (se così vogliamo definirlo) abbia identificato quella data per l’inizio del viaggio. In te leggo un tragitto, partito dalla ricetta della Ratatuia, che rimanda al manifesto, e al mio impegno verso le tue pagine e chi vorrà leggerle, e arriva ai più recenti pensierini. Nelle parole che custodisci vedo i miei passi su una strada che non è stata sempre lineare o pianeggiante, che ha avuto momenti in cui la luce è stata molto debole. Del resto, è così la vita. Negli articoli vedo i miei cambiamenti: nuovi gusti che si mescolano ai vecchi, inversione di priorità, scoperte e meraviglie. L’apprezzamento della meraviglia, che provenga da una nuova ricetta o da un luogo o un libro o un’amicizia o altra miscellanea, c’era e continua ad esserci. L’ho coltivato, è diventato nel tempo parte del mio lavoro, mi fa stare bene e di questo ti ringrazio perché l’ho compreso mettendo in fila le parole sulle tue pagine che ripesco spesso nella mente come si fa con le fotografie.
Immagini che racchiudono il mio sentire, che prendono forma nel giorno singolo ma che restituiscono il senso nell’insieme (infinito) di punti che costruiscono il percorso. Sei testimone del mio cambiamento, di una facoltà propria dell’essere umano, che per compiersi richiede lavoro quindi, mia cara Ratatuia, quale migliore data se non oggi per suggellare la tua nascita?

Nell’immagine: Jeanne Samary in abito scollato, o La Rêverie di Pierre-Augueste Renoir (1877)

Non abbiate fretta

Non_Abbiate_Fretta

“Non abbiate fretta e se sbagliate, ricominciate.” Suona più o meno così l’esortazione che ebbi il privilegio di ascoltare tanti anni fa, liceale adolescente, in occasione di una lectio magistralis tenuta da Rita Levi Montalcini.
Ho custodito il suo messaggio negli anni e l’ho ripescato spesso, sforzandomi, senza mai riuscirci, di ricordare le parole esatte. Ho tenuto con me il concetto, usandolo come medicina nei momenti difficili. Ho intercettato altri significati, oltre al primo che avevo apprezzato, anzi posso dire che l’esortazione ha alimentato la mia speculazione sul tempo, sugli errori, sui desideri, sulle aspirazioni, sulla fallacia.
Oggi ho l’opportunità di rimaneggiare ancora il senso. Non solo per il significato insito nella sentenza, ma per ciò che ha rappresentato: una frase incisa nella mia mente. È grazie a uno scritto di Italo Calvino che, parlando di Eugenio Montale e di una sua poesia, riferisce di una recitazione mentale, quasi inconsapevole, che affiora a distanza di anni (Cit. Italo Calvino, Perché leggere i classici – Oscar Mondadori 2021). Nel testo Calvino rimarca la bellezza di imparare le poesie a memoria e restituisce una ragione sulla quale non avevo ancora riflettuto: i versi crescono mentre continuano a ruotare nel giradischi mentale (Cit.). Voglio parlare di una crescita che si accompagna al cambiamento e a una necessaria trasformazione. Le parole, siano esse componimenti poetici o esortazioni, mutano di significato insieme al mutamento della persona.
“Non abbiate fretta” a quindici anni lo trovai rassicurante, un moto rispettoso dei tempi di ognuno nel raggiungimento di un traguardo. Più tardi ho capito che non dovevo avere fretta nel decidere chi volevo essere perché sono un essere che muta, e ogni giorno serve per ascoltare, per costruire, per cambiare, per aggiustare. Il risultato finale non è detto che sia noto, è un viaggio, un lungo percorso attraverso strade spesso inesplorate, dove la fretta porta all’errore di confondere i propri desideri con quelli che gli altri ci attribuiscono.
Sbagliare e ricominciare: due parole che incutono timore perché sembrano alludere al fallimento. Ma il fallimento, quando racchiude la misura di un’esperienza, è necessario.
Tornando a Calvino e alle poesie, l’autore sostenne più di una volta che è bene imparare le poesie da giovani perché da vecchi ci faranno compagnia. Tengo a mente da tempo questa affermazione, consapevole che la sua comprensione di oggi sarà differente da quella di domani. Certi versi sono con me da anni, li saluto al mattino, li innaffio, osservo la loro crescita. Ogni tanto recrimino di non dedicare loro il tempo di cui avrebbero bisogno, quello stesso che vorrei io per mia necessità. Ma quando stiamo insieme, e li riscopro rigogliosi, sono così soddisfatta. Allora scovo nella compagnia il senso vivace del costante movimento che induce a farsi domande, senza pretendere di trovare subito una risposta, ma felici per la capacità di interrogarsi. Esseri pronti a stupirsi e vogliosi di cogliere qualche inattesa meraviglia. Ritrovo così nel “Non abbiate fretta” l’ennesima sfumatura: l’esortazione a prendersi il tempo per osservare, come quando si cammina che se il passo è troppo svelto si perdono i dettagli del panorama.

Nell’immagine: Un’onda di luce, Giacomo Balla (1943)