Cucinare

Il sapore

“Cucinare è prendersi cura.” Me lo ha detto il mio amico E. quando gli ho raccontato l’ultima ricetta che avevo elaborato. Mi sono interrogata sul mio desiderio di cucinare, ho pensato ai piatti che ho voglia di preparare e di gustare. Ho compreso che ci sono due momenti differenti: quello del ricordo e quello della scoperta.
Il ricordo è ricerca di sapori famigliari, attraverso una ricetta ereditata da mia nonna ritorno a indugiare nella mia infanzia. Mentre cucino ritrovo gli spazi della sua grande casa, i profumi delle mattine d’estate, rivedo i suoi capelli grigi ondulati e l’immancabile rossetto rosso sulle labbra. Quando assaporo sento il suo abbraccio. Non è semplice arrivare al suo sapore, è un costante avvicinamento. Cucino, assaggio e mi dico che manca ancora qualcosa, mi do appuntamento alla volta successiva e ci riprovo. Mi convinco che fosse meglio il risultato precedente e programmo di tentare di nuovo. Vorrei farlo in una sera d’inverno, vorrei che ci fosse una stufa a legna, come quella che aveva lei.
Poi arriva il giorno della scoperta, penso a un ingrediente e immagino quale sia il modo migliore per catturare il suo gusto. Penso agli abbinamenti, mi chiedo con che cosa potrà trovarsi in armonia. Nasce una ricetta, sono in un ambiente nuovo, che posso scoprire attraverso quel sapore creato da me. Mi riconosco.
Che sia ricordo o scoperta, amo condividere i miei sapori con le persone a cui voglio bene. Mentre preparo un piatto per gli altri, spero che possano alimentarsi, che quel gusto a me caro possa arricchire i loro palati con emozioni e desiderio di esplorare.
Cucinare è come affrontare un viaggio, mi affido ai sensi e inizio il cammino, posso scegliere una nuova meta o andare verso un posto che conosco. Sarà in ogni caso una scoperta perché io sarò cambiata, e nel progressivo avvicinamento al sapore famigliare troverò il punto che è diventato per me ragione, mentre nel nuovo sapore incontrerò un gusto che alimenterà la mia consapevolezza.
Ripenso all’idea di prendersi cura e credo che la cucina, e la ricerca del sapore, ci aiuti a prenderci cura di noi stessi e degli altri. Così come nel viaggio, anche a tavola la partecipazione è un ingrediente che porta piacere.

Nell’immagine La tavola imbandita, Henri Matisse

Il ragù della bassa

Quando preparo il ragù, quello con la ricetta originale della mia nonna, penso a lei e ricordo un pezzo della mia infanzia.

Gli ingredienti segreti me li hai confessati tardi, verso la fine, quando avevi capito che era giusto passare il testimone.
Ricordo che andavo nella dispensa di nascosto, sapevo che avevi depositato là il pentolone, mi portavo un pezzo di pane, aprivo il coperchio e intingevo la mollica fino a quando non si riempiva di sugo e di pezzetti di carne. Stavo al buio per non farmi scoprire ma regolarmente mi cadeva una goccia sulla maglietta e quando tornavo in soggiorno te ne accorgevi.
“Hai assaggiato il ragù?” Mi dicevi.
Facevo l’indifferente ma poi mi facevi segno di guardare giù sullo stomaco e vedevo le gocce arancioni di olio e pomodoro.
“Nonna, mi sono macchiata.” Ti dicevo.
“Vai a cambiarti e la prossima volta accendi la luce.”
In casa il ragù c’era sempre, lo preparavi ogni settimana e si mangiava quasi ogni giorno. Credo che fosse per la questione della guerra. Il nonno non sopportava di mangiare la pasta al pomodoro, diceva che era cibo per poveri, noi la carne la potevamo comprare, per questo ti chiedeva di fare il ragù. Lui amava le tagliatelle, tu invece preferivi i maccheroni, per non litigare chiedevi a me ma io stavo con il nonno. Continua a leggere.