Sono emiliana e le lasagne per me sono quelle della Novella. Ricordo quella signora alta e magra con i capelli corti color castano e gli occhiali sul naso, indossava un grembiule bianco e le ciabatte da infermiera; stava dietro al bancone del suo negozio e la domenica mattina preparava le porzioni delle sue lasagne e le riponeva nei contenitori di alluminio per l’asporto.
Mia madre non osava mettersi in competizione, se volevamo le lasagne andava a comprare quelle della Novella. Ci aveva provato mia nonna, l’aveva fatto per qualche volta ma anche lei si era data per vinta di fronte a una tale professionista.
Ricordo bene la morbidezza della pasta, strati sottili da tagliare in sezione con la forchetta. La besciamella ricopriva con generosità ogni foglio di pasta insieme al ragù ricco di carne e sugo di pomodoro. Le lasagne della Novella erano verdi perchè lei metteva gli spinaci nella pasta all’uovo e per questo motivo ho sempre visto con sospetto quelle che da bambina definivo “bianche”; le avevo mangiate per la prima volta in un ristorante dalle parti di Bologna e ne ero rimasta delusa.
Nel tempo mi sono state proposte diverse varianti e ho scoperto che le persone amano sperimentare, c’è chi aggiunge la mozzarella e chi ci mette le polpette di carne. Qualcuno usa il pecorino al posto del formaggio Grana e questo in genere inficia la gratinatura dello strato superiore, oltre a mettere a rischio il sapore complessivo che risulta troppo salato. Ho deciso di dare un riscontro positivo agli ospiti che mi hanno servito la loro interpretazione della lasagna, l’ho fatto in buona fede, consapevole di non avere mentito perché il piatto che mi proponevano era buono ma ciò che ho tenuto per me era la distanza rispetto al mio punto di riferimento: le lasagne della Novella.
Qualche settimana fa però è successo qualcosa. Le circostanze mi hanno portato ad assaggiare le lasagne di una signora molto cortese e ospitale che ha vissuto per anni in Romagna e ho trovato un sapore a me famigliare. Stiamo parlando di lasagne “bianche” quindi distanti da quelle della Novella, tuttavia c’era qualcosa di molto simile che mi ha riportato con la mente a quando ero bambina. Ci ho pensato per qualche giorno, ho avuto quel sapore sulla lingua per un po’ e mi chiedevo che cosa fosse, deve essere stato per questo che ho accettato di portare a casa una porzione avanzata, non mi era mai capitato di dire di sì a tale proposta.
Ho assaggiato di nuovo quelle lasagne, le ho messe a riscaldare nel forno e ho capito: era la noce moscata. Quella spezia che avvolgeva la besciamella mi ricordava il sapore delle lasagne della Novella; ho trovato un pezzo della mia infanzia, i pranzi della domenica, le chiacchiere in cucina tra donne quando io e mia madre aiutavamo mia nonna ad asciugare le stoviglie e mio nonno in soggiorno si attaccava alla radio per ascoltare la partita. La Novella non c’è più e con lei se ne sono andate anche le sue lasagne; restano i sapori, quelli registrati nella nostra mente, che possono tornare a galla quando si trova la frequenza giusta.