Pensierino

Maestro di lettura

Maestro_letturaHo iniziato tardi a leggere. Da bambina ero incuriosita dai volumi che trovavo nella libreria di casa, ma ogni volta che iniziavo un testo, attratta dal colore della copertina o da un titolo che mi creava un’aspettativa, ne rimanevo delusa. Frequentavo la biblioteca, luogo che ho sempre amato per il profumo di carta invecchiata e per le innumerevoli opportunità che mi forniva. Amavo gli inizi. Quando ero alle medie trascorrevo interi pomeriggi, seduta per terra a sfogliare la prima pagina di ogni volume. La biblioteca del paese era un appartamento di tre stanze, salivo le scale e arrivavo nella camera principale, dove c’erano i tavoli dedicati alla lettura; incontravo un paio di volontari che gestivano i prestiti e che mi indicavano di andare a destra, dove c’era l’area dedicata ai ragazzi. Io prendevo coraggio e, d’un fiato, rispondevo che cercavo qualcosa per mia madre e mi dirigevo a sinistra, verso il luogo degli adulti, ed era lì che mi rintanavo per ore.
Al liceo ascoltavo incantata le spiegazioni dell’insegnante di letteratura, fantasticavo sulla vita degli autori, cercavo le loro immagini per renderli vivi, mi sarebbe piaciuto conoscerli e spesso prendevo nota dei loro testi e li cercavo in biblioteca. Mi proponevo ardue missioni, come la lettura dell’Ulisse [1] a quindici anni e poi tornavo indietro, mi cimentavo con le pagine di Piccole donne[2], ma c’era sempre qualche cosa che non mi convinceva, e riprendevo il gioco degli inizi.
All’Università ho cominciato a dedicarmi alla lettura dei saggi. Sceglievo testi per approfondire temi legati ai miei studi, veleggiavo sull’economia politica e la sociologia, per approdare ai contenuti che venivano dall’America e che descrivevano il futuro delle nuove tecnologie.
Più tardi, dopo la laurea e dopo il master, feci un viaggio in treno. Non era il primo, era un viaggio come mille altri già passati, ma quel viaggio segnò il momento, al punto che mi vedo seduta nel vagone, con gli occhi sul libro che aveva la stessa copertina della blusa color corallo che indossavo sopra a una maglietta azzurra, cosparsa di stelle marine. Avevo comprato il libro in stazione, prendendolo a caso tra quelli ben in vista, per sostituirlo temporaneamente al saggio sull’Internet Marketing che pesava troppo per essere portato in giro.
Entrai dentro alla storia. Camminavo per le strade che venivano descritte, ero seduta a tavola con i protagonisti, passeggiavo dentro ai loro sogni. Stavo viaggiando, la mia immaginazione veniva attivata e una serie di scene si susseguivano, quasi come se le vedessi passare l’una dopo l’altra dal mio finestrino.
Da allora cominciai a dedicare tempo alla lettura della narrativa, ma mi muovevo a gattoni, spesso con uno scarso senso dell’orientamento. Ascoltavo i consigli di qualcuno, mi affidavo a qualche libraio che, dopo un po’, doveva chiudere, lasciandomi sprovvista di indicazioni. Iniziai a frequentare gruppi di lettura, circoli e conferenze in cui confrontarmi con chi coltivava la mia stessa passione. Inseguii il mio gusto, che si stava progressivamente formando, lo allevai e collezionai una serie di testi da leggere dall’inizio alla fine.
A volte penso che mi sarebbe piaciuto avere un maestro di lettura, una sorta di precettore in grado di seguirmi, passo dopo passo, per consigliarmi il libro giusto, al momento opportuno. La verità è che siamo tutti differenti e che, anche un testo classico nella sua universalità, ha un differente effetto su chi lo legge.
Il risultato dell’esperienza di lettura dipende dal momento, dallo stato emotivo, dall’età e dal mondo del singolo che si unisce al mondo del libro, in un reciproco scambio. Il libro è vivo e muta, svelandoci progressivamente qualche cosa che, alla lettura precedente, non avevamo osservato. Leggere per conoscere e per conoscersi, inseguire il piacere per la scoperta di una nuova storia e, allo stesso tempo, accogliere lo stupore di apprendere qualcosa in più della propria, diventando maestri di lettura di noi stessi.

Nell’immagine: Edward Hopper, Scompartimento C, carrozza 293.

Note:

[1] Ulisse (Ulysses) di James Joyce
[2] Piccole donne di Louisa May Alcott

Guido e Anna e Marco

L'altalenaNon lo conoscevo. Non sapevo nominare il moto che s’impadroniva delle mie gambe e delle mie braccia, era come se delle gemme crescessero all’improvviso, diventando protagoniste di una fioritura inattesa. Me ne stavo seduta ad ascoltare, riconoscevo le note di una canzone segreta e attendevo il punto esatto in cui sentivo di potere spiccare il volo.
Ero piccola e ricordo che assaporavo il momento. Attendevo che mia madre mi lasciasse sola in casa, salivo su una sedia e mi arrampicavo sulla mensola più alta della libreria, dove c’era il piatto dello stereo. Selezionavo il brano e alzavo il volume. Una, due, tre, quattro, cento volte. Posizionavo con cura la puntina per trovare il solco giusto, quello che mi faceva volare. Parlava di Anna e di Marco che cercavano la strada per le stelle, ballavano mentre si scambiavano la pelle e facevano tre salti che, come una catapulta, li portavano fuori dal locale ma anche via, lontano, in un posto che immaginavo illuminato dalla luna piena. Deve essere stato quello il momento in cui ho cominciato a innamorarmi della luna che vedevo lontana ma vicina, dispensatrice di luce nel buio della notte. Da bambina ascoltavo il guizzo e, pur non avendo elementi per definirlo, mi perdevo, avvolta nella gioia, quasi in un senso di beatitudine, in cerca del sogno certa che sarebbe diventato reale.
Oggi ho scoperto il valore di quel salto grazie a Guido. Mi sono avventurata nella Leggerezza descritta da Calvino e ho ritrovato il salto del filosofo, il balzo che Guido Cavalcanti (Sì come colui che leggerissimo era…) fa per sollevarsi sulla pesantezza del mondo*.
Nell’avanti e indietro del mio pensiero ho trovato l’equivalenza tra un gesto remoto e uno recente, mi sono chiesta se Guido, Anna e Marco fossero accomunati dallo stesso desiderio: staccarsi dalla gravità.
Ho raccolto qualche elemento di analisi, per assecondare quell’immagine che prendeva spazio e continuava a rimbalzare fra i secoli. Le gesta di Guido vengono narrate nel Decameron da Boccaccio che lo scrisse nel 1349, anno successivo alla peste nera, una pandemia che proveniva dall’Asia e aveva afflitto i Paesi dell’Europa. Anna e Marco fu scritta da Lucio Dalla nel 1979, l’anno della grande crisi energetica.
È come se le due epoche fossero la crasi del presente, una mescolanza di flagelli che affliggono l’uomo solcando i confini della nazione e dell’individuo. La leggerezza è ossigeno e vorrei avere sotto ai piedi molle così potenti da consentirmi di volare, come avevano fatto Guido, Anna e Marco che oggi considero amici, pionieri del balzo che resta un esempio, necessario antidoto alla gravità.
È possibile volare, qualcuno l’ha già fatto, lo posso fare anche io e lo possiamo fare tutti. Immagino di andare in alto dove i pensieri sono limpidi, dove esiste un punto che unisce gli amici, le persone e le nazioni.

sì come colui che leggerissimo era,
prese un salto e fussi gittato dall’altra parte,
e sviluppatosi da loro se n’andò.
[Decameron, Giovanni Boccaccio, VI, 9 –1349] 

Si guardano e si scambiano la pelle e cominciano a volare
Con tre salti sono fuori dal locale
Con un’aria da commedia americana
Sta finendo anche questa settimana
[Anna e Marco, Lucio Dalla 1979]

 

*[Cit. Italo Calvino, Lezioni Americane – La Leggerezza]

Nell’immagine: Honoré Fragonard, L’altalena (1767)