La convivenza fra ciclisti e pedoni non è sempre facile. Negli ultimi tempi la città si è arricchita di piste dedicate a chi ama pedalare ma spesso i circuiti si intersecano con le aree dedicate a chi cammina e va di fretta. In quei punti d’intersezione può avvenire lo scontro, capita l’incomprensione, un po’ come quando si abita in uno spazio di pochi metri e si deve imparare a condividere. L’altro giorno ho assistito a due scene simili ma diverse nella reazione. Un ciclista che andava veloce ha incrociato una ragazza che passeggiava a passo sostenuto mentre ascoltava la musica nelle cuffie. Entrambi, probabilmente presi dallo spavento, hanno urlato l’uno contro l’altra e la cosa è finita a insulti. Dopo pochi metri un altro ciclista stava per colpire un giovane ragazzo che aveva l’aria sognante e camminava lentamente guardandosi intorno. Aveva lo sguardo di chi era appena arrivato e stava esplorando il posto, forse era un turista. Il ciclista si è fermato per tempo e ha lasciato passare il ragazzo che l’ha guardato e, in un italiano stentato, ha detto grazie. Forse questo ciclista ha perso qualche secondo del suo tempo ma ha guadagnato la gioia di un ringraziamento.
Bicicletta
L’uomo con la scala
Ho trascorso l’infanzia in un piccolo paese di provincia nella bassa padana dove la bicicletta era uno dei principali mezzi di trasporto. Le persone la utilizzavano per trasportare tutto e si cimentavano spesso con carichi pesanti e rischiosi. Io osservavo la circolazione e ad un certo punto, quando cominciai ad essere abbastanza consapevole per costruirmi un’opinione, capii che c’erano due cose molto difficili da affrontare: trasportare con la bicicletta una seconda bicicletta e trasportare una scala. In relazione al primo caso ricordo che mio nonno era un maestro in questo. Al mattino mia madre mi accompagnava a scuola in automobile e all’ora di pranzo arrivava a prendermi il nonno. Veniva sulla sua bicicletta e portava con se anche la mia. La trasportava tenendola per il manubrio con una sola mano, lui pedalava sulla sua e la mia bici gli correva a fianco. Mi sembrava un gioco di prestigio, ogni volta ne rimanevo entusiasta e pensavo che fosse quasi una magia. Uscivo da scuola, salivo sulla mia Graziella blu e pedalavo orgogliosa a fianco del mio nonno-mago. In relazione al secondo tema ricordo bene l’imbianchino. Era un signore che abitava nella mia stessa via e, quando d’estate stavo fuori a giocare in giardino, lo vedevo passare avanti e indietro sulla bicicletta. Indossava una tuta bianca piena di macchie colorate e sulla spalla portava il piolo della scala come fosse una borsetta a tracolla. Trovava la posizione migliore, quella in cui la scala non tocca per terra, e girava per il paese con questa specie di antenna rivolta verso il cielo. Mi chiedevo sempre se non fosse troppo pesante per la sua spalla e se non ci fosse il rischio che, in seguito a una frenata, la scala scendesse giù per il braccio e gli facesse perdere l’equilibrio. Niente di tutto ciò, la scala sembrava incollata e l’imbianchino passeggiava leggiadro mentre si dirigeva al lavoro. Pensavo che queste fossero scene di altri tempi, fotogrammi di un passato lontano e ormai in via di estinzione. Invece questa mattina, in pieno centro a Milano, davanti a me c’era un signore con la scala sottobraccio. La scena mi ha fatto riflettere sull’ingegnosità dell’uomo e sul fatto che probabilmente questo genere di trasporto deve essere consolidato. Chissà se questo signore l’ha scoperto da solo, per esigenza. Magari c’è stato qualcuno che glielo ha suggerito e gli ha dato anche le indicazioni per gestire il rischio. Questo non lo so. Mi è piaciuta la sensazione. L’idea di trasportare una scala su cui qualcuno potrà salire per andare ancora più in alto e assaporare l’odore delle nuvole.