Smartphone

Le ho mandato un biglietto

Si parla spesso degli smartphone e di come si innestino nella nostra vita, portando cambiamenti alle abitudini e alle relazioni sociali. Ci si lamenta delle “appendici” che modificano la nostra postura e rompono costantemente il livello di attenzione. C’è chi fa delle battaglie per metterli al bando, come si faceva una volta con una certa letteratura, io credo che sia l’uomo a scegliere. Tocca a noi trovare un punto di equilibrio sfruttando il buono e contenendo ciò che può causare danni.
La mia amica L. usa ancora il termine biglietto. Ne parla quando mi spiega di avere scritto qualcosa a qualcuno, lo dice ad esempio per citare il ringraziamento per un dono o per un invito, per la comunicazione di certe notizie, quelle che vanno date a titolo informativo; utilizza il biglietto anche per riprendere contatto con qualcuno che non vede da un po’ di tempo.
La prima volta avevo immaginato quei cartoncini color avorio chiusi in piccole buste, la vedevo alle prese con la stilografica e la carta assorbente. La mia mente è arrivata fino a Jane Austen e al maggiordomo che, con il vassoio d’argento, porgeva un biglietto chiuso con la ceralacca. Più tardi, quando L. mi chiese se avevo ricevuto il suo biglietto, capii che la corrispondenza avveniva tramite email.
Ho trovato nel suo biglietto un punto di equilibrio, la consapevolezza dell’obiettivo con cui si attiva uno strumento. Non è una semplice email ma è un biglietto, che è diverso da una lettera, perché L. spedisce anche lettere (tramite email) ma sono di altra natura, hanno un diverso scopo e una diversa struttura. L. scrive SMS e messaggi Whatsapp, manda foto e video e ogni tanto si cimenta con il vocale. Non sceglie mai a caso, il messaggino è come un telegramma e il resto è simile a un momento d’intrattenimento, come se ci trovassimo a cena.
Mi fermo spesso a cercare il giusto strumento, ne abbiamo così tanti a disposizione che non è facile districarsi. La soluzione arriva se mi concentro sull’intenzione e sul contenuto. Che cosa voglio dire all’altro? Che emozione voglio scatenare? È più importante la mia o voglio lasciare spazio alla sua?
Ho cominciato anche io a mandare biglietti. Li trovo efficaci perché lasciano tempo: per scriverli con la giusta intenzione e per rispondere dopo avere sentito ed elaborato l’emozione.

L’impegno della lettura

“Io alla sera leggo.” Lo ha detto A. l’altro giorno durante un pranzo fra colleghi.
La maggior parte l’ha guardata con sospetto, alcuni hanno detto che non c’è tempo per farlo, altri hanno sottolineato la loro stanchezza nelle serate che seguono a una giornata di lavoro.
Ho voluto indagare per capire quali siano le abitudini e le modalità di gestione di un tempo libero sempre più scarso. Pensavo che la televisione fosse un sostituto ma ho riscontrato che il caro vecchio tubo catodico è ormai in pensione. Le persone si intrattengono con lo smartphone, con applicazioni, con le serie a puntate che vengono succhiate via streaming o con tutto ciò che è possibile grazie a una connessione Internet.
“Leggere richiede impegno.” Ha sentenziato A.
Mi trovo d’accordo, ho riflettuto sulle mie abitudini e su quanto sia diventato faticoso per me dedicarmi alla lettura. Non è solo una questione di tempo è un tema di sforzo cognitivo. Quando decido di leggere mi devo isolare, lascio lo smartphone in un’altra stanza, lo tengo in modalità silenziosa e me lo dimentico. Non è facile, lo ammetto, a volte, con la scusa di una pausa, vado a dare una sbirciatina, mi distraggo e poi è difficile riprendere. Mi sono confrontata con altre persone e ho scoperto che il male è comune. Se succede dopo i trentacinque anni credo che sia gestibile, è necessario fare attenzione, bisogna averne consapevolezza ma in fondo basterà seguire qualche regola, auto disciplina per trovare l’equilibrio e non eccedere. Ma cosa succede alle nuove generazioni? A coloro che non hanno memoria di un mondo senza smartphone e connessione? Gli studi scientifici ci parlano di analfabetismo funzionale, ci dicono che le persone non riescono a comprendere e hanno difficoltà a farsi un’opinione. La rete ci dà gli accessi alla conoscenza ma se non riusciamo a costruirci una conoscenza interiore non abbiamo un parametro; le opinioni e le riflessioni nascono dalla capacità di sintesi fra ciò che succede fuori e ciò che abbiamo dentro di noi. La formazione di un giovane passa attraverso la logica, la riflessione, l’esercizio della ragione; elementi funzionali per l’identificazione di ciò in cui si crede e per orientarsi nel mondo, riuscendo così a discernere tra finzione e realtà. Un tempo si camminava e si viaggiava senza il supporto di applicazioni e l’individuo trovava il modo per orientarsi; oggi non c’è bisogno di sforzo, non serve ragionare perché il nostro smartphone ci guida e noi ci affidiamo. Siamo sicuri di volerci privare della possibilità di perderci? Non è quella la parte più bella del viaggio? Forse potremmo partire da qui con le nuove generazioni, potremmo creare complicità trovando una modalità di apprendimento più vicina a loro?