Passo spesso per via Cappuccini. La percorro in bicicletta più volte alla settimana, mi piace passare per piazza Duse, girare a sinistra e poi subito a destra e ancora a destra per arrivare in corso Venezia. In quel percorso guardo in alto e ammiro i palazzi di una Milano ottocentesca. Il passaggio davanti al giardino di villa Invernizzi è un’abitudine e confesso che con un gesto meccanico, senza rallentare, guardo attraverso il cancello per controllare se sia vera la storia che raccontano sui fenicotteri rosa. Fino ad oggi non li avevo mai visti e nel tempo ho pensato spesso che fosse un’invenzione. Ho immaginato a una leggenda costruita per i bambini ma nel pomeriggio ho dovuto ricredermi. Passavo in bicicletta, ho fatto il solito gesto meccanico e i miei occhi hanno colto qualcosa di diverso. L’elaborazione è stata ritardata tanto che, già in via Serbelloni, ho inchiodato e sono tornata indietro. Allora li ho visti, nel loro splendore valorizzato dalla calma e dalla tranquillità in cui si muovono, in un giardino ben curato che fa venire voglia di entrare per perdersi. Avrei voluto essere così sottile da passare tra le maglie del cancello di ferro per andare a sedermi sotto a uno degli alberi secolari, avrei atteso, sicura che in quel luogo il tempo perde di significato.