George Crumb

Grazie Piano city Milano

PianocityAspetto che arrivi. Quando il mese di aprile inizia mi ritrovo in un lungo sabato del villaggio, in attesa della grande festa dedicata al pianoforte. C’è tanta della mia vita in questo evento, iniziato da poco più di dieci anni. Ho immagini nitide che cullano la gioia e il dolore, ma posso affermare che ogni concerto mi ha regalato ciò di cui avevo bisogno, in quel preciso momento. Seduta su una poltrona o per terra, in un giardino o in un museo, a casa di qualche sconosciuto o in un grande albergo, Piano City ha aperto la camera oscura e mi ha permesso di accogliere la luce necessaria a schiarire i pensieri.
Ricordo una notte, nel giardino che circonda la Palazzina Liberty, mentre camminavo con le cuffie wifi che trasmettevano Chopin. Tutto era possibile. La musica parlava con ogni cellula del mio corpo e sentivo un guizzo che dava vita a una, due, tre, dieci me, unite per moltiplicare la forza dei miei desideri. Una volta il pianoforte era circondato dall’acqua e il pianista scalzo si avvicinò fendendo il lago intorno al quale stavano gli spettatori. Le note parevano tuffarsi, nuotando per poi riemergere dall’apnea e alimentare il respiro degli astanti silenziosi.
Durante il ciclo di quest’anno, terminato ieri, ho partecipato a un paio di concerti che hanno scardinato altre porte per consentirmi di entrare nelle nicchie desolate dove non arriva il sole. Ho scoperto George Crumb, compositore statunitense che utilizza tecniche non convenzionali, e Makrokosmos Volume I (nell’eccellente interpretazione di Andrea Rebaudengo) che raccoglie i dodici segni zodiacali. L’opera, insieme alla melodia, richiede al pianista di oltrepassare i limiti consueti e di esprimersi gridando termini evocativi o usando catene per solleticare le corde del piano. Conoscendo un po’ delle caratteristiche dei segni zodiacali, ho trovato una perfetta aderenza nell’espressione, come se il brano fosse un oroscopo perpetuo, che dichiara il profilo dell’essere. Non conoscevo questa possibilità, non avevo mai visto una rappresentazione in cui il rapporto tra lo strumento e il musicista diventa così intenso da creare un nuovo strumento, unico e composto dalla crasi dei due elementi.
Successivamente mi sono trovata a fare parte di una installazione. Nel cortile della Centrale dell’acqua ero pubblico, ma anche parte di un progetto di bellezza più ambizioso guidato dalla scuola Mondo Musica che, insieme ai suoi giovani pianisti, ha raccolto disegni e riproduzioni di opere d’arte degli studenti della zona. Tavole di cartoncino, ispirate dalla pittura e dalla filosofia, erano appese a fili di acciaio che facevano da tetto al pianoforte e agli spettatori. Le note di Chopin si fondevano con le bombette di Magritte che, a loro volta, ammiccavano a pezzi d’ispirazione platonica. Armonia senza tempo, fusione di vibrazioni che sanno di bene e che possono durare nei secoli. Questo mi fa la musica e arriva all’improvviso, sollecitando quella parte dei sensi che ha il coraggio di abbandonarsi all’ignoto.