Giovinezza

Giovinezza

GiovinezzaQuando gli anni si accumulano, uno accanto all’altro, come libri stipati sugli scaffali, ci si trova a pensare alle persone che si sono incontrate. È spesso un pensiero fugace, figlio di un ricordo che riaffiora da una canzone, o dalle pagine di un’agenda di anni lontani, che non si butta per pudore. A volte un’immagine tiene un’imboscata alla mente, arriva all’improvviso, ci porta indietro, verso il volto di qualcuno che non vediamo da anni. Mi capita di dedicare qualche istante a quel viso, lo ricordo come era allora e mi chiedo se sia cambiato. Mi domando se il suo percorso sia continuato nella mia stessa città, forse no, non ci siamo più incontrati, neanche per caso.
Qualche settimana fa è successo. Una di quelle immagini è affiorata nella mia mente. È stato un episodio inutile: tenevo fra le mani il bollitore, lo stavo riempiendo con l’acqua per preparare il tè, e ho pensato che quell’oggetto fosse simile a quello che aveva acquistato una delle ragazze con cui studiavo all’università. Ho sentito la sua voce, ridanciana e soddisfatta, che mi mostrava l’acquisto di cui era fiera.
Era la prima volta che mi capitava, eppure utilizzo quel bollitore quotidianamente, da un numero di anni che si contano in doppia cifra. Avevo dimenticato l’episodio inutile ma poi, a distanza di qualche giorno, ero seduta ad ascoltare una conferenza e quando mi sono alzata ho sentito qualcuno che mi chiamava: la stessa voce della compagna di studi soddisfatta del suo bollitore. Ci siamo ritrovate, dopo più di vent’anni. Eravamo mascherate, come consuetudine vuole in questo periodo, io l’ho riconosciuta dalla voce e lei, così mi ha detto, dalle mani. Ci siamo accordate per un incontro dedicato ai racconti, l’intento era di provare a colmare quegli anni con un reciproco scambio di informazioni ma così è stato solo in parte perché, chiacchierando, abbiamo scoperto di avere più cose in comune oggi che allora. Forse è per quello che ci siamo perse di vista, e non tanto perché il cellulare non era così diffuso.
Ci siamo confrontate sulle aspirazioni e abbiamo individuato un elenco più nitido, abbiamo constatato una maggiore consapevolezza del cammino da intraprendere e una volontà più definita. Che sia questa la giovinezza? Mi piace definirla come la dichiarazione di non essere gente imbelle e l’accompagno all’esperienza, che ha fornito la giusta comprensione del lavoro necessario per una conquista. Molto sta nel motore, nell’alimento che ci dona un progetto, nel sentirsi parte. Credo che siano queste le componenti della costante giovinezza, di uno stato, che può accompagnarci sempre, indipendentemente dall’età anagrafica.
Tornando a casa, dopo avere salutato V., è questo il nome della voce ridanciana, ho pensato che quell’episodio inutile del bollitore sia stato foriero di un accadimento importante, ma soprattutto mi ha fatto comprendere che sono io a decidere se essere imbelle o meno.

Nell’immagine: Edward Hopper. The Lee Shore, 1941.

Il sabato del villaggio va veloce

SabatoRicordo bene il momento in cui divenni consapevole del concetto. Ero al liceo e l’insegnante spiegava il senso di attesa che voleva trasmettere Leopardi descrivendo la vigilia del giorno di festa. È come quando si programma un viaggio, si prepara l’itinerario, si pregusta il momento dell’arrivo, le visite che si faranno, le cose nuove che si potranno sperimentare e alla fine si deve ritornare e si ha la sensazione che sia stato più bello preparare il viaggio che viverlo. C’è quel senso di nostalgia legato alla fine dell’avventura e si pensa che ci sarebbero voluti un paio di giorni in più. A me capita di sabato. La giornata mi sfugge e non faccio in tempo a vivermi il venerdì sera che sono già alla domenica. È come se qualcuno avesse deciso di ridurre le ore del sabato. Eppure non dormo fino a tardi, in genere mi accontento di un riposo che supera di un paio d’ore la sveglia dei giorni lavorativi; svolgo le normali attività di routine come fare la spesa o altre piccole commissioni e in un attimo si arriva all’ora di cena. La mia amica M., con cui mi sono confrontata sul tema, mi rassicura dicendo che è così, non ci si può fare niente: “il sabato è la cena del sabato sera”. Lo sostiene con forza, dice che lei ci ha rinunciato a pensare che ci sia del tempo da utilizzare in quella giornata. Io invece arrivo al sabato sera con il desiderio che l’indomani, al posto della domenica, ci sia di nuovo un sabato. La domenica è un giorno di passaggio e mi lascia poca soddisfazione, serve solo per staccare il sabato dal lunedì. È come l’ultimo giorno di vacanza, lo trovo inutile perché non fa altro che ricordarci che la festa è finita. È il sabato il vero giorno di festa, quello più importante. È al sabato della nostra vita che possiamo decidere e pianificare; ci poniamo obiettivi sfidanti e troviamo l’energia per raggiungerli. La velocità di questo giorno è disarmante, sfugge come la nostra giovinezza e quando arriva la domenica è tardi per fare ciò che non si è fatto. Quindi non si deve perdere l’opportunità, è questo il segreto per vivere con consapevolezza questa meravigliosa giornata. Io ci provo, e ogni fine settimana lavoro per dilatare il mio sabato del villaggio.

Nell’immagine: La lettrice di Pierre Auguste Renoir (particolare).