È passato un po’ di tempo da quella volta in cui il mio amico J. mi spiegò l’eccezione. Era una sera vicino a Natale, ci incontrammo a cena, lui era di passaggio a Milano e ci teneva a salutare qualche amico che non vedeva da mesi. Io avevo già un impegno e decisi di raggiungere il gruppo più tardi; arrivai a cena iniziata e mi accomodai in un angolo ad ascoltare le novità che J. stava raccontando. Parlava di una persona in gamba che aveva dato un ottimo contributo nella sua azienda; diceva che era un collaboratore brillante e che si era distinto per il contributo e l’innovazione che aveva saputo portare. Il soggetto in questione però era distratto e tendeva a dimenticare le scadenze; per questo motivo aveva scordato di presentare la domanda per la partecipazione a un programma internazionale di ricerca. Sarebbe di certo stato ammesso viste le sue capacità ma era arrivato con ventiquattr’ore di ritardo e l’ufficio aveva rifiutato la richiesta. J. ci chiese la nostra opinione, aprì la discussione su ciò che fosse giusto fare in quel contesto; precisò che lui aveva il potere di fare qualcosa perché era a capo dell’azienda e avrebbe potuto chiedere di accettare quella domanda. Che cosa era giusto fare? Si crearono due fazioni: una parte dei commensali sosteneva che la domanda doveva essere accettata, seppure presentata con ritardo, e l’altra parte invece diceva che andava rifiutata a causa del ritardo. Io mi schierai nel secondo gruppo e sostenni che se c’era una scadenza questa andava rispettata per tutti. L’eccezione avrebbe creato un precedente che avrebbe potuto danneggiare la credibilità delle regole. J. mi disse che avevo ragione ma aggiunse che a volte è necessario praticare un’eccezione. Non ero convinta, restai in silenzio, tentai di capire ma il significato mi sfuggiva. Continuammo la serata in allegria e salutai J.
L’indomani J. mi chiamò al telefono, stava andando in aeroporto e voleva salutarmi. Decise di tornare sull’eccezione, io rimasi ferma sulla mia posizione ma lui volle approfondire il suo punto di vista. Mi disse che le regole sono necessarie e vanno rispettate ma aggiunse che bisogna allenarsi a valutare, a fare un’analisi per sapere individuare i casi in cui si possa creare maggiore valore uscendo dalla regola. J. sapeva che il suo collaboratore sarebbe stato molto utile alla ricerca, nel caso in questione il valore era quindi più alto del rispetto di una regola. Ci pensai e mi resi conto che la visione di J. aveva un senso, in effetti la sua decisione aveva dato un’opportunità a una persona che aveva merito e grazie a questa scelta altri avrebbero potuto beneficiare di quel valore. Capii che non si può ragionare solo sul caso generale perché spesso è necessario l’esame del particolare.
È come se si dovesse mettere a fuoco; quando si usa una macchina fotografica si può fare una bella panoramica ma poi, per riprendere un dettaglio, bisogna tarare l’obiettivo e giocare un po’ con le funzioni dello zoom.
Innovazione
La strategia del fare
La chiacchiera è una grande tentazione. Ci sono persone che amano ascoltarsi e parlano per sentire ripetutamente la loro voce, i discorsi forbiti, le dissertazioni su innumerevoli questioni. Nel tempo ho capito che l’efficacia sta nelle poche parole; concetti chiari e sintetici sono spesso in grado di colpire nel segno trasmettendo a chi si ha di fronte il vero senso di ciò che si vuole comunicare. E dopo subentra l’azione, il fare per mostrare ciò che si è sostenuto, dare un esempio concreto e visibile permette che le parole abbiano consistenza. Nel mondo del lavoro capita quotidianamente di dovere perdere tempo per dire, parlare per sostenere una posizione, mostrare con le parole e non con i fatti. Sembra che le persone abbiano paura di passare ai fatti, forse è così. Mi sono trovata spesso in questa situazione e ho capito che l’uomo ha la tendenza a condurre tutto a ciò che conosce. Se una cosa non è nota, intendo una procedura, una metodologia, un qualche tipo di passaggio nell’ambito di un progetto, si tende a mettere in dubbio la sua fattibilità. Perché? È così difficile provare? L’innovazione nasce così, attraverso la prova, facendo qualche cosa che non si è fatto prima, dando libero sfogo a una semplice intuizione. Agire e fare, magari si sbaglia, forse si dovrà procedere con un secondo tentativo per fare delle correzioni, ma solo così si va avanti. Fermarsi alla chiacchiera condanna alla staticità; ci si ferma in quel punto e si gira a vuoto, come nei vecchi dischi quando la puntina si fermava in un solco del vinile e la strofa della canzone veniva ripetuta all’infinito.