Ci sono delle giornate in cui si ha voglia di passare tra diverse emozioni. Come quando si apre l’armadio e si perlustra il proprio guardaroba per decidere che cosa mettersi. Si guardano i colori, si pensa a come ci sta addosso quel vestito e si decide che per quella determinata occasione va bene l’azzurro, si cambia idea, perché anche il rosso ha il suo perché, infine si vira sul blu, deciso e formale. In quei momenti porto con me un po’ di quella voglia di esplorare. Salgo in bicicletta, metto le cuffie, seleziono ripetizione casuale sull’Ipod e comincio a pedalare. Adoro l’istante di attesa tra un pezzo e l’altro, quel breve momento in cui mi chiedo che musica arriverà ad accompagnarmi. Ogni canzone sprigiona un differente stato e nel giro di pochi minuti passo attraverso una vasta gamma di sensazioni, come se ci fosse un grande data base in cui pescare. Non saprei dire se sia l’insieme delle note o il timbro della voce del cantante a darmi quel momento; o se invece dipenda dal ricordo, dal fatto che ogni brano mi porta indietro, in quella situazione precisa che ha registrato la gioia o il dolore, la felicità o l’angoscia, il bello o il brutto. Il patto che faccio con me stessa è che devo accettare tutto, non vale cambiare pezzo, non posso schiacciare il tasto avanti per passare alla canzone successiva. Se l’emozione non mi piace attendo e approfitto di quei minuti per capire il perché, forse quel brano non è arrivato per caso.
Già.
Magari, quando giunge quel che amiamo maggiormente, riusciamo ad apprezzarlo ancora di più.
Si. Jung ci avrebbe messo il becco ed avrebbe chiesto di aspettare e poi, aspettare ancora.
Perché il caso, non esiste.
Running away – jill scott