Cambiamento

La misura dell’essere (umano)

Parlano_Giacomo_BallaSono passati vent’anni senza che io conoscessi quell’episodio che, per certi versi, mi riguarda. L’ho saputo qualche settimana fa e confesso di averci speso un po’ di tempo; è ritornato più di una volta, e si è preso un piccolo spazio nella mia mente.
L’ho appreso per caso, durante una delle innumerevoli conversazioni che ho avuto con la mia amica S. Vai a sapere perché è arrivato proprio adesso, dopo tutti questi anni. Non ricordo di cosa stessimo parlando, affrontiamo diverse questioni quando ci vediamo. Ogni tanto ripensiamo a come eravamo, ed è per quello che ridiamo. Probabilmente è partito tutto da lì. Ricordavamo i ragazzi che erano nella nostra classe durante il master, abbiamo rivangato gli esami e i professori, più o meno duri. Ho raccontato a S. di quando, un paio d’anni fa, avevo incrociato quel tipo di cui non ricordavo il nome.
Lo avevo visto nel corridoio di un’azienda per cui gestivo un progetto, l’avevo riconosciuto ma lui aveva fatto finta di non vedermi. Io mi ero avvicinata e l’avevo salutato, rammentandogli che eravamo stati compagni di classe per sedici mesi. Aveva tenuto gli occhi bassi ed era rimasto sul generico, chiedendomi come andava, poi era entrato in una stanza. Mentre dicevo a S. che quello era il tizio che stava seduto accanto alla cattedra, alla nostra sinistra, lei ha ricordato il nome e il cognome. Lo ha scandito, ha bevuto un sorso d’acqua e me lo ha detto. Sedute l’una di fronte all’altra a cena, vent’anni dopo, S. mi ha fatto tornare indietro al giorno del funerale di mia madre. Ho ricordato l’abito che indossavo, ho rivisto uno dopo l’altro i volti degli amici e dei compagni di classe. S. era rimasta con me tutta la giornata e, per questo motivo, non era andata a lezione, ma mi aveva tranquillizzata dicendomi che avrebbe recuperato gli appunti e in effetti così è stato. Parte da lì il mio ricordo del dopo. Mi vedo in classe, ci sono molti compagni accanto a me, uno dopo l’altro mi mostrano il loro dispiacere per l’accaduto, S. invece sorride e mi rassicura facendomi vedere la copia degli appunti.
Ho guardato S. negli occhi, era molto seria mentre mi confidava, dopo vent’anni, che il tizio che avevo incontrato nel corridoio non aveva voluto darle gli appunti. Mi ha descritto la scena, ricordava ogni dettaglio, comprese le parole di lui mentre le diceva di no, sostenendo che fosse lei in difetto poiché era stata assente. Lei si era giustificata, adducendo una valida motivazione, ma il tizio che avevo incontrato nel corridoio aveva perseverato nel suo no. La cosa curiosa è che oggi S. non ricorda chi le avesse dato gli appunti, una figura generosa c’era stata perché alla fine, in qualche modo, lei aveva recuperato il contenuto delle lezioni mancanti.
Mentre tornavo a casa, dopo la serata con la mia amica S., ho riflettuto sul peso dei ricordi che restano incisi nella nostra mente. Dopo vent’anni, per lei, il ragazzo che sedeva accanto alla cattedra rimane una persona da evitare e credo che sarebbe difficile farle cambiare idea. Mi sono chiesta se la conoscenza di quell’episodio avrebbe modificato il mio atteggiamento, durante quell’incontro casuale, avvenuto nel corridoio. Avrei forse fatto finta di non vedere il tizio? Ho pensato a lui come padre di famiglia, ho immaginato un uomo che probabilmente non ricorda neppure di avere detto di no a S., in quella determinata circostanza. Misuriamo i fatti e le persone con un metro relativo, che dipende dal momento e che spesso non lascia spazio al cambiamento, che può esserci in ognuno. Lo spazio che quell’episodio mi ha occupato negli ultimi giorni è stato utile, mi ha permesso di comprendere che una possibilità per cambiare esiste, sempre. Tocca a noi decidere con quale metro misurare, consapevoli che saremo misurati a nostra volta.

Nell’immagine: Parlano (particolare) 1934, di Giacomo Balla.

Cambiare pelle

“Voglio vivere con lentezza.” Lo dichiara la mia amica V. mentre mi esprime la sua difficoltà a riprendere il ritmo di prima.
Fa la libera professionista e ha deciso di accettare meno clienti.
“Ci guadagno in vita.” Continua V. mentre beviamo un caffè da asporto nella caffetteria vicino a casa.
Non lo avevamo mai fatto. Ci frequentiamo da anni, abitiamo a pochi metri ma non avevamo mai pensato di incontrarci al mattino per il caffè. Senza le trasferte sembra che ci sia più tempo, inizio prima del solito ma c’è una fascia oraria, quella che va dalle otto alle nove, in cui posso passeggiare e fermarmi a prendere un caffè in compagnia. Stiamo in piedi, l’una di fronte all’altra con il bicchierino in mano, la ragazza esce e ci invita a sedere su due sedie azzurre che il locale ha posizionato sul marciapiede, è una novità perché quel posto non ha mai avuto un dehors. Sorseggiamo a debita distanza, l’una accanto all’altra, mentre guardiamo la vetrina del negozio di fronte, c’è una gonna che non va più bene per questa stagione. Il posto è chiuso e non sembra che aprirà nel breve periodo, ricordiamo il vestito verde che V. aveva preso la scorsa estate in occasione dei saldi, perché quello è un posto dove entriamo solo quando c’è il cinquanta per cento. Parliamo delle vacanze, è difficile fare progetti. Lei passerà qualche giorno nella casa in montagna, è contenta di averla presa nella stessa regione, mi dice che ne aveva discusso ai tempi con suo marito, lui insisteva per una località che si trova in Piemonte e lei sorride mentre rimarca che le donne hanno un sesto senso per certe decisioni. Le dico che non ho piani, confesso che non mi dispiace l’idea di restare in città, ne potrei approfittare per fare qualche lavoro in casa, quelle cose che rimando da troppo tempo, come ad esempio cambiare il rivestimento dei divani o dipingere di rosso le pareti dell’ingresso. Ci sarebbe anche la libreria da sistemare, quello richiede una settimana intera. V. mi dice che c’è posto da loro in montagna ma io prendo tempo, le farò sapere, dipende da come si muoverà il lavoro. Ci salutiamo e mentre torno verso casa penso all’invito del mio amico E., mi ha proposto di trascorrere qualche giorno su da lui, è un posto dove non c’è il wi-fi e il telefono non prende, mi ha detto che è possibile incontrare delle vipere mentre si cammina, sostiene che qualcuno abbia trovato la vecchia pelle. Mi ha descritto l’involucro cristallizzato di colore giallastro, ho cercato in rete e ho visto una specie di sacchetto dal quale spunta la testa che, strusciandosi sul terreno, si fa largo per liberarsi da ciò che sembra il budello utilizzato per gli insaccati. La vipera ne esce con una pelle nuova, lucida e variegata. Piacerebbe anche a me. Mi chiedo se la muta doni una sensazione piacevole, me la immagino come quando ci si toglie le scarpe dopo una camminata di qualche chilometro in salita.

Nell’immagine: Donna in camicia di Andrè Derain